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Eppure mi sento da Dio

Se ci trovassimo catapultati nell'Europa della metà del diciannovesimo secolo e aprissimo una mappa generale del nostro Paese, probabilmente la città di Ivrea sarebbe difficile da trovare. Ci vorrà quasi un secolo prima che questa città del Piemonte finisca sulla bocca di tutti grazie a Olivetti e alla sua "Fabbrica di macchine da scrivere”, che successivamente produrrà il primo calcolatore portatile della storia. E se Ivrea ha dovuto attendere 100 anni per farsi conoscere, a Ivreatronic ci sono voluti due anni di pandemia e continue proroghe per arrivare al Parco Nord di Bologna, sotto un tendone da circo, con “La prima festa dell’amore”. Il festival di tre giorni lanciato da Cosmo, 42 Records e DNA Concerti, in una città da sempre impregnata di cultura e di controcultura, ha dimostrato che l’energia, la partecipazione e l’amore sono ancora tutto ciò di cui la musica ha bisogno.

Siamo reduci da due anni di chiusure e sacrifici, ma è anche vero che arriviamo da un decennio di grandi festival dove la folla si accalca negli stadi e si acquistano i biglietti anche con un anno di anticipo, ma sempre meno concerti a “media dimensione”, più accessibili e godibili da tutti. La prima festa dell’amore è stato l'esempio di come si possa creare qualcosa di eccitante e vivibile senza scimmiottare Glastonbury, senza esagerare nei numeri, e realizzare qualcosa di indimenticabile rovesciando sui partecipanti secchiate di buona musica e coinvolgimento emotivo. Soprattutto trasmettendo moltissima leggerezza. Due serate perfette, con una guest-list e sonorità in continuo crescendo, dalle 18 a mezzanotte, e un pomeriggio di Pasquetta decisamente più informale. Ospiti fissi Foresta (tra i fondatori di Ivreatronic) e Hugo Sanchez (Tropicantesimo), entrambi amici e artisti “che mi hanno trasmesso le cose più importanti in questi anni”. E poi voci e sperimentazioni potenti come il duo Dame Area da Barcellona, il romano Steve Pepe, Whitemary, Tamburi Neri, Cobra, Luwei, Luce Clandestina.

Cosmo annunciò l’evento lo scorso luglio, dopo aver fatto uscire il suo quarto album “La terza estate dell’amore”. Un manifesto sociale e anche politico, una Cattedrale di suoni. In un momento in cui la musica chiedeva solo di tornare sulla scena. Avrebbe dovuto tenersi l’1 e 2 ottobre sempre a Bologna - primo evento senza distanziamento fisico, a cui si poteva accedere se vaccinati o con tampone, sulla linea di alcuni festival europei - ma a causa della pandemia e delle limitazioni imposte dal governo è stato rimandato, generando non poche polemiche. Quando i concerti erano ancora un tabù, desideroso di vedere in faccia le persone, Cosmo è entrato nei club, da Milano a Bari, per gli Incontri dell’amore. Oppure con i concerti “blitz”, come quello di novembre all’Alcatraz, che dovevano rappresentare “il ritorno alla vita contro la paura”, le cui date di Padova e Torino sono state annullate a causa del peggioramento della situazione sanitaria. Con Ivreatronic, poi, in questi due anni ci ha tenuto compagnia anche in streaming, se pure non fosse questa la sua idea di musica, “perché per me la musica è uno scambio di energie e sensazioni e si può fare solo alla vecchia maniera”.

“Alla fine siete lo scopo di tutto questo”. Lo abbiamo visto felice come un bambino di fronte all’amore che la sua musica è in grado di generare. Cosmo, il suo album e il suo pubblico sprizzavano libertà. Se come diceva Aristotele in medio stat virtus, poi ribadito dal neologismo svedese lagom ("non troppo, non troppo poco, il giusto"), allora ci dobbiamo augurare che di festival così se ne vedano nascere a decine e che durino nel tempo, perché dopo due anni di stop forzato della musica forse abbiamo più bisogno di sorridere e ballare che di appagare semplicemente il nostro spirito festaiolo.